La storia
Simo
"Nell'anno scout 1979/1980 lo staff capi “La Divina”, composto da Pietro, Simo e il neo-entrato Gigi, aveva preso il posto della mitica “Luminosa” nella conduzione del glorioso John Flitzgerald Kennedy.“
Tale riparto era cresciuto a dismisura numericamente, c'erano 5 o 6 squadriglie e ben più di 40 ragazzi. Per febbraio la Divina programmò un'uscita di un giorno. Si decise di raggiungere Valstagna in treno e da qui muoversi per Col d'Astiago passando per il Passo del Vento (non lo troverete in nessuna cartina. Il nome a quel posto l'ha dato Pietro), quindi tornare per un altro sentiero e raggiungere Valstagna alle 18:00 per la Messa. Quasi 1100 metri di dislivello.
Troppi, per un riparto che da inizio anno si dimostrava svogliato e imbolsito? No, decisero i capi. Visto che alle riunioni c'era una defezione media del 20-30%, l'occasione sarebbe stata buona per convincere i meno interessati a passare all'Azione Cattolica (per ragionamenti simili oggi ti radiano dal ruolo di capo). La mattina del 17 febbraio 1980 il riparto scendeva dalla littorina a Carpenè. Forse qualche capo squadriglia aveva dimenticato il guidone in treno, talvolta succedeva malgrado la sacralità dell'alpenstock. Allo staff capi si era aggiunto Carciofo (provvidenzialmente, lo si capirà poi). .
Attraversato il ponte di Valstagna, si prendeva il sentiero a fianco della chiesa. Il tutto senza soste, non c'era tempo per fermarsi a mangiare, tanto che il pranzo fu servito strada facendo. Mangiare panini mentre si suda e ansima non è certo una cosa da consigliare, infatti tale esperienza non venne più ripetuta. Superato il Passo del Vento, una sorpresa inaspettata ci attendeva: la neve a terra. Il candido manto riempiva di gioia il noviziame ma rallentava ulteriormente la marcia. La truppa mormorava, Lilla era preso da tachicardia. Il riparto era allo stremo delle forze. Finalmente Col d'Astiago, finalmente la meta a 1240 m, finalmente il meritato secondo panino. Ma la neve ci aveva ulteriormente penalizzati, eravamo in forte ritardo sulla tabella di marcia. E nella breve sosta si udì il rintocco delle campane di Valstagna. Rischiavamo di perdere la Messa. Si parte in fretta per il sentiero del ritorno. Giunti a circa 1/3 della discesa, la colonna si arresta. Che succede?
“Il sentiero non c'è più, è franato”, è la risposta. Un'apposita spedizione di parecchi anni dopo dimostrava che non era vero. In realtà il sentiero non si trovava perché sepolto dalla neve. I capi si consultano. Che si fa? Si torna indietro. Per forza. Rigiunti a Col d'Astiago, nuovo summit capi. Ormai eravamo all'imbrunire, la neve ghiacciava, i ragazzi erano allo stremo. Era un'azione responsabile intraprendere la discesa per dove eravamo saliti? I capi decisero di no. Meglio rimanere sul posto. Raggiunte le vicine casere, i capi squadriglia vennero convocati.
“Questa volta si fa sul serio, vediamo se tanti anni di esercitazione sulle situazioni estreme sono serviti a qualcosa”. Divisione degli incarichi e si parte, come se fosse l'ennesimo gioco-esercitazione. Ma pernottare in due gelide casere, senza cena né colazione né sacchi a pelo né coperte né lampade non era proprio una banalità. Qualcuno sfondò le due porte adiacenti, qualcun altro andò a legna, altri prepararono giacigli con quel che si trovava, qualcuno accese le stufe economiche. Si utilizzò al meglio il poco che si trovava. .
Con barattoli di vetro, olio e stracci furono realizzate delle lampade, con the e caffè si prepararono bevande filtrate coi calzetti (nessuno chiese di chi fossero), gli specchi vennero portati fuori, dov'erano stati allestiti fuochi di segnalazione, al fine di orientare il fascio luminoso verso eventuali soccorritori (magari dovessero venire in elicottero, si pensava...).
In tutte queste azioni il riparto si galvanizzava e tornava l'entusiasmo. “Lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà”, recita la legge. Adesso sapevamo perché. Mentre tutto ciò accadeva, Gigi e Carciofo scendevano a Valstagna per comunicare ad autorità e genitori quel che stava accadendo..
Recatisi dai Carabinieri e fatte le dovute telefonate, si rivolsero al Parroco chiedendo ospitalità per la notte ma il prelato disse loro che non li conosceva e che pertanto non intendeva accoglierli. Così, comprata qualche merendina e qualche stecca di cioccolato (solo un paio), decisero di tornare dal riparto. I ragazzi si erano sistemati per la notte. In una stanzetta erano stati stesi a terra due materassi e tutto il noviziame vi si era steso sopra a strati incrociati stile sandwich. Il resto della gente si ammucchiava verso le due stufe che, a seguito della rapida accensione e della probabile occlusione della canna per la neve, non ne volevano sapere di buttare fumo dal camino, così che le stanze erano occupate da una fitta coltre di vapore acre.
Ma il buon respiro era l'ultimo problema: c'erano freddo, sonno e fame da fronteggiare. Cantando e raccontando storie trascorse una lunga notte che nessuno dei presenti scorderà. Verso le 4 del mattino un urlo squarcia l'aria irreale: “Carciofo e Gigi! Sono tornati”. I due capi vengono presi d'assalto, tutti vogliono notizie. Vengono distribuiti i viveri. “Solo un cubetto di cioccolata a testa? Ma ci fa bau!! Caie, taccagni!”. Finalmente torna la luce. Col chiarore ci si prepara a lasciare il ricovero notturno. Tutto va lasciato a posto. Ma con le porte rotte non c'è nessun rimedio. Pazienza. I malgari ci perdoneranno.
Alle 6:30 circa siamo tutti in posa per la foto ricordo (chissà che fine ha fatto anche quella) quando arrivano due guardie forestali con gli sci da fondo. Ci convincono a seguirli per una via con meno pericoli (secondo loro). Così si parte e dopo una lunga ed estenuante camminata, in buona parte sulla neve, arriviamo a Lusiana (o Conco? Non ricordo bene). Salutiamo i forestali e aspettiamo la corriera che parte in tarda mattinata per condurci a Bassano. Giunti alla stazione dei treni, fra i pochi genitori venuti a raccogliere i figlioli dispersi si compie l'ultima cerimonia. Promesse o tappe. Scusate, non ricordo bene. Di ritorno, tanto spazio in treno (nessuno voleva starci vicino, puzzavamo come delle fogne) e il piacere di aver saltato un giorno di scuola.
Nei giorni successivi esce un articolo sul Mattino, dal titolo “Scout padovani dispersi e ritrovati”. Dopo averlo letto, Pietro si scaglia immediatamente alla sede del giornale a protestare per le menzogne. Così gli viene concesso di scrivere una risposta e, qualche giorno dopo, esce un nuovo articolo sul giornale dal titolo “Quella volta c'ero anch'io”. In questo pezzo scritto da Pietro e corretto da Simo e Gigi (Pietro scriveva in topografia), si spiegava che non ci eravamo mai persi e che non eravamo mai stati ritrovati. La decisione dei capi non poteva che denotare esperienza e senso di responsabilità visto che nelle avventure l'imprevisto può succedere, anzi, è normale che succeda ma l'importante, nel nostro stile, è essere preparati e reattivi. Questo era accaduto, quindi tutti eravamo orgogliosi. Per questo ci saremmo ripromessi di ritrovarci tutti gli anni il 17 febbraio per affermare, ciascuno con orgoglio, che quella volta “c'ero anch'io”. Così avvenne e avviene ancora, a 33 anni di distanza.
Paolo Simonetto componente La Divina